Il web è morto, lunga vita al web
La chiusura di Badtaste.it è solo l'ultimo chiodo su una bara che è già stata chiusa ormai da anni: l'editoria online come l'abbiamo conosciuta negli scorsi vent'anni è ormai morta e sepolta.
È di ieri la notizia che Badtaste.it chiude i battenti dopo vent’anni di attività. Non è una sorpresa, non per me almeno. È solo l’ultimo segnale di tantissimi che si sono susseguiti negli ultimi cinque anni. E chi incolpa la Pandemia ha capito ben poco di cosa è successo.
Sono uno di quelli che l’”editoria online”, come fa figo chiamarla da anni, l’ha fatta in Italia fin dalla sua nascita, quando ancora si chiamava semplicemente “pubblico un blog”. La festa è durata vent’anni, poi è finita. E anche se qualcuno si attarda all’uscita, c’è ben poco da fare, la musica si è spenta.
Ho avuto la lucidità, per fortuna, di uscirne prima che implodesse completamente. Ho lasciato tre anni fa la direzione del sito che ho fondato e diretto per dodici anni e ho fondato una casa editrice partendo da un progetto completamente differente, che torna all’oggetto fisico e abbandona il concetto di “all digital” che tanto caro è stato a questa industria negli ultimi vent’anni.
Il web è morto e si è largamente suicidato. Si è suicidato quando ha lasciato in mano ad un’unica azienda e ad un unico motore di ricerca la possibilità di dettare le leggi su cui si poggia.
Si è suicidato quando ha lasciato in mano a pochi social network le community che aveva costruito con tanta fatica negli anni.
Google ha per anni dettato legge su come doveva essere scritto, pubblicato e impaginato in un articolo online. Quali e quante “parole chiave” dovevamo mettere in ogni nostro scritto perché avesse senso pubblicarlo. Abbiamo smesso di scrivere per il nostro pubblico e abbiamo iniziato, senza neanche accorgercene, a scrivere per l’algoritmo di Google. Per avere più traffico. Più persone che arrivassero sui nostri contenuti. Ci siamo drogati di una sostanza che non ci ha mai nutrito, quel traffico cieco e inutile fatto di persone che neanche sapevano cosa stavano leggendo e dove lo stavano facendo. Abbiamo azzerato l’identità dei nostri siti, dei nostri blog, rendendoli contenitori asettici di contenuti senza personalità.
Facebook, l’unica altra forte fonte di traffico, ha fatto il resto. Ci ha tolto le community, ci ha tolto i lettori abituali. Ci ha tolto le interazioni, fagocitando quello che avevamo creato. Nel momento in cui abbiamo cominciato a considerare “Commenti: Zero” la normalità sotto ai nostri articoli, i nostri siti hanno iniziato a morire inesorabilmente.
Abbiamo abbandonato un pubblico ristretto, ma affezionato e partecipativo, per un pubblico largo, ma disinteressato e inconsapevole.
I blog, i siti editoriali, sono nati perché pochi appassionati avevano voglia di condividere le loro idee, le loro opinioni, i loro contenuti. Lo facevamo gratis, nel tempo libero. E chi ci leggeva lo faceva gratis. E noi ne eravamo felici.
Poi è diventato un lavoro ed è diventato fondamentale capire come guadagnare da questa attività. E una volta che avevamo regalato il frutto del nostro lavoro, cioè i contenuti, l’unica alternativa era monetizzare con i banner e le campagne pubblicitarie.
Su Lega Nerd ho resistito per anni facendo solo campagne “native”, con inserzionisti in target con la mia verticalità, limitando al minimo la presenza di banner sul sito, che uccidevano la leggibilità e in generale l’esperienza di utilizzo. Con gli anni l’economia di Internet e della pubblicità su Internet si è sempre più spostata verso nuovi giocatori, oggi li chiamiamo “influencer”, ma sono semplicemente creatori di contenuto come lo eravamo noi, solo che lo fanno in un’altra maniera e su altre piattaforme, raggiungendo un pubblico enorme.
Ci hanno messo qualche anno gli inserzionisti a capire la potenza degli influencer, ma alla fine i soldi si sono spostati sui creator e portare a casa una campagna per il proprio sito era già difficile cinque anni fa, figuriamoci oggi.
Oggi il Dio dei siti web sono i banner. Sono esplosi alla fine degli anni dieci grazie alla nascita di piattaforme di “Real Time Bidding” che ne hanno aumentato la resa economica e noi ci siamo tuffati in questa nuova opportunità riempiendo i nostri siti di merda. Merda ad ogni paragrafo. Merda che si apre sopra al contenuto. Merda che va in play e rimane fissata sullo schermo mentre scrollo per leggere. Merda ovunque.
Serviva più traffico e lo abbiamo inseguito con ogni mezzo. Più traffico uguale più pagine viste, più pagine viste uguale più banner visualizzati. E più banner visualizzati voleva dire più soldi per tenere in piedi la baracca.
Ci serviva più traffico da Google, e allora scriviamo come dice lui, rifacciamo il sito da zero come vuole lui. Ottimizziamo tutto come detta lui.
Più traffico dai social, e allora cominciamo a pubblicare centinaia, migliaia di news. Attualità. Poche righe, poco contenuto, ma interessante per chi non ha tempo e scrolla su Facebook col cervello spento. Migliaia di news al giorno. E poi facciamo clickbait. Facciamoli cliccare questi utenti e facciamoli arrivare sui nostri siti. E fake news. Sono nati centinaia, migliaia di siti creati unicamente per generare traffico e monetizzare i banner.
Merda, ricoperta di merda.
E chi ci aveva creduto davvero, chi voleva pubblicare contenuti interessanti, indipendenti, formativi, divulgativi, ora è fottuto.
È fottuto perché deve competere con chi segue quelle regole e non lo può fare senza rendere merda anche il suo sito. Vuoi camparci o vuoi scrivere per quattro gatti e non guadagnarci niente?
Gli anni della Pandemia hanno ulteriormente drogato Internet. Il traffico è aumentato, i banner si sono ulteriormente moltiplicati, la pazienza di chi naviga è finita. Sono stati solo un paio di anni di buone notizie per chi pubblica siti editoriali, per poi sprofondare nel burrone della realtà.
Oggi i banner pagano pochissimo. Le campagne sono finite. Monetizzare un sito editoriale è sempre più difficile. Abbiamo abbruttito il web e ora nessuno lo vuole più vedere. Ci si informa altrove, senza doversi sorbire la merda di cui sono ricoperti i siti internet.
Abbiamo regalato i nostri contenuti per vent’anni e ora nessuno li vuole più pagare, soprattutto dopo che abbiamo pubblicato la merda per anni. Niente abbonamenti. Niente aree “premium”. Non funziona niente e non sappiamo più dove sbattere la testa.
È ora di chiudere. Di fare altro.
Ci penseranno i giovani a inventarsi qualcosa di nuovo, qualcosa di innovativo e al passo coi tempi. Tempi veloci, tempi assassini.
C’è un timido ritorno al passato. Vedo nascere micro community di persone che si sono stufate della bulimia dei social. Vedo nascere micro progetti editoriali che si appoggiano anche sul web, non solo sul web. Il web non morirà mai.
Il web è morto, lunga vita al web.
Leggo il tutto con un mix di tristezza e nostalgia pensando alle sperimentazioni alle volte anche mal riuscite ma comunque uniche che si vedevano online fino a 15 anni fa. Siti web promozionali per i film che erano quasi degli esperienziali (mi ricordo ad esempio quelli di matrix, di harry potter, che restituivano una sensazione paragonabile ai contenuti aggiuntivi sui DVD). Sarà stata la mia giovane età, ma quei contenuti da scoprire erano un'esperienza di intrattenimento unica nel loro genere. Il piacere della scoperta, nel vero senso del termine, che sì era promozionale, ma che non te lo ricordava ogni secondo come succede ora. Dava l'impressione di essere davvero un contenuto bonus per i fan.
Dicevo mix di tristezza e nostalgia? Sì, ma anche una goccia di positività, magari stiamo raggiungendo il punto più buio per tornare man mano a vedere la luce. La sensazione è questa. Continuare in questo modo per altri anni, e parlo per me, mi avrebbe del tutto estraniato da questo mondo. Ormai tutto è troppo piatto. I contenuti non durano, una notizia di oggi viene dimenticata domani, i titoli sono tutti uguali, tutti scrivono allo stesso modo, tutti vogliono un contenuto che vada bene a tutti. Io voglio che fallisca tutto questo, voglio che si sia costretti a ripartire, con una direzione diversa, una ventata di aria fresca. Ovviamente c'è il rischio che tutto finisca sui social e basta, che non si veda più in tempi ragionevoli un nuovo web, questo è un timore e non è certo trascurabile. Ma la noia non poteva continuare, qualcosa doveva succedere. A riveder le stelle!
Analisi lucidissima e brutale.